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Ottava edizione

Elba Book contro la retorica del nazionalismo

Il resoconto dei primi tre giorni del festival dedicato all’editoria indipendente.

atmosfera elba book

Elba Book Festival

L’ottava edizione di Elba Book non ha seguito i palinsesti blasonati e luccicanti che gridano all’uniformità intellettuale, e si è opposta alla spettacolarizzazione culturale: lo staff del festival isolano dedicato all’editoria indipendente ha scelto di andare controcorrente e rivolgersi alle nicchie, a tutti coloro che sono attenti ai cambiamenti. E nonostante qualche editore nostalgico abbia criticato la mercificazione delle apparenze che cavalcano canali social come TikTok, Loredana Lipperini ha spezzato una lancia per i tiktoker che hanno riesumato classici contemporanei oramai dimenticati, riportandoli nelle librerie dei loro giovanissimi coetanei. Lipperini, Tomaso Montanari, Wu Ming 1, Aldo Appiani e Mariano Tomatis, inoltre, hanno avvalorato su più tavoli quanto sia indispensabile l’uso libertario e democratico della cultura, che deve servire per osare, per ridare senso alla complessità del quotidiano e uscire dai binari ideologici dell’out out.

Sono centinaia i turisti provenienti da ogni parte dell’isola che ogni sera hanno popolato le piazze di Rio nell’Elba, lasciando agli editori in stand apprezzamenti e commenti calorosi. Intanto la kermesse si prepara per il gran finale, quando domani, venerdì 22, nel salotto buono del borgo saluterà il pubblico con la proclamazione dei vincitori del Premio Demetra, riconoscimento ideato insieme al consorzio nazionale Comieco per sostenere e divulgare la letteratura ambientale in Italia. Il programma nel dettaglio, qui.

UN PREMIO PER LA PACE

«Il premio letterario intitolato a nostro figlio Lorenzo Claris trae origine dal desiderio di dare riconoscimento a chi dedica il proprio ingegno per propagare i pensieri degli autori verso un pubblico più vasto in una sorta di sinergia positiva – affermano i genitori Alberta Brambilla Pisoni e Aldo Appiani – In antitesi a chi invece si dedica a diffondere rancore e odio verso prospettive e persone diversi da sé. Questo premio ci sembra il modo migliore di ricordare Lorenzo, vittima dell’odio e del rancore». Il Premio “Lorenzo Claris Appiani” per la migliore traduzione letteraria dal francese ha inaugurato il festival martedì pomeriggio ed è stato consegnato a Federica Di Lella, traduttrice del romanzo La sete (Safarà) di Marie-Claire Blais. A seguire, il rettore Tomaso Montanari e la docente Giulia Marcucci dell’Università per Stranieri di Siena, che promuove e garantisce la qualità scientifica del premio stesso, hanno dialogato sul valore dell’arte, della letteratura, della parola e delle traduzioni nel contesto attuale della guerra tra Russia e Ucraina. “Voci contro la guerra”, moderato da Roberta Bergamaschi, è il titolo dell’incontro, ma anche dall’omonimo progetto dell’Unistrasi, che raccoglie sul sito dell’ateneo interventi di intellettuali ucraini, russi e di altri paesi.

CONTRO LA GUERRA

«Nessuna ambiguità sulla condanna a chi aggredisce, ma bisognava dare visibilità alle voci dissidenti della Russia. La cultura serve a connettere, a distinguere, a riflettere. Lavoriamo per ricordarci che plurilinguismo e multiculturalismo sono la linfa vitale che si oppone alla retorica della patria», afferma Montanari insieme alla necessità dell’Accademia di uscire dall’isolamento in cui si è auto confinata, facendosi scudo di tecnicismi lontani dalla vita sociale del nostro paese. «L’accademia ha il compito di diffondere la cultura – ribadisce il rettore di Unistrasi – che è innanzitutto diversità e rispetto per l’altro, trasformando le parole in azioni. A questo scopo Unistrasi ha tradotto e pubblicato le voci degli scrittori russi dissidenti presentate a Elba Book, ha istituito borse di studio per ricercatori russi e ucraini, ha aperto le porte agli studiosi italiani di lingua e cultura russa che non hanno trovato spazio nelle altre università. Sempre condannando la guerra di Putin e sempre sottolineando che i russi non possono essere identificati tout court con il loro capo, evidenziando che la cultura è soprattutto complessità di vedute».

STRATEGIE DI REINCANTO

Nell’età del disincanto perché è necessario recuperare lo stupore che esso genera? Quali strategie sono possibili per arrivare a ciò? A ipotizzare alcune strategie possibili per arrivare a ciò, mercoledì scorso, sono stati Loredana Lipperini, Marco Belli, Mariano Tomatis e Wu Ming 1. Per quest’ultimo il disincanto è il frutto malato della società capitalistica, che in nome di una falsa razionalità ha ridotto l’esistente a merce, a risorsa economicamente quantificabile, compresa la vita stessa dell’essere umano, costretto a vivere in un continuo presente che esclude modelli alternativi. Parimenti, per Lipperini assistiamo a un fenomeno di arretramento rispetto alle conquiste sociali e politiche degli anni 60 e 70, fenomeno iniziato negli anni 80 e previsto da autori come Margaret Atwood, Ray Bradbury e Valerio Evangelisti. Tra le conseguenze, una delle più nefaste è che all’interno delle bolle di cui oggi si è prigionieri non si riesca più a immaginare l’altro diverso da sé, a concedersi un’alternativa, come dimostrato da Mariano Tomatis con i suoi brillanti esercizi di “magia” e le storie a tratti folli e stravaganti – ma tutte vere – raccolte nel suo nuovo saggio, Incantagioni. Storie di veggenti, sibille, sonnambule e altre fantasmagoriche liberazioni, edito da Nero.

Dove trovare uno spazio alternativo per recuperare la meraviglia da opporre alle strategie dei falsi incanti, funzionali alla conservazione dei modelli unici di rappresentazione del reale? La soluzione per Marco Belli può essere solo collettiva; secondo Wu Ming 1 si può attingere a serbatoi con potenziale di divergenza come l’arte, la bellezza e la letteratura. La letteratura può esercitare una notevole forza di attrito contro l’esistente, perché fa vivere esperienze vicarie anche in modo critico, consentendo di indossare i panni dell’altro, assumerne i punti di vista e valutarne le ragioni, facilitando il dialogo e disinnescando le potenziali conflittualità così diffuse a ogni livello in quest’epoca. A patto che la letteratura, come asserito da Lipperini torni a essere finestra sul mondo e non specchio di una realtà autoreferenziale come anche per influenza del modello narrativo dei social oggi tende a essere.

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