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Risorse idriche

“La pericolosa e impossibile idea delle dighe all’Isola d’Elba”

La Valle di Pomonte è stata interessata da una frana che ha provocato un alluvione poco più di 30 anni fa

Generico febbraio 2022

Da Legambiente Arcipelago Toscano

Recentemente l’ex sindaco di Portoferraio Fratini e l’attuale sindaco di Campo nell’Elba Montauti hanno ritirato fuori l’idea di costruire invasi per sopperire alla crisi idrica dell’Elba. In particolare, il sindaco di Campo nell’Elba, in un intervento in gran parte condivisibile, cita la possibilità/necessità di «Valorizzare le sorgenti isolane, soprattutto dell’Elba occidentale, con degli invasi, per esempio quella di Pomonte».

Ogni tanto, ciclicamente spunta l’idea di presentare l’invaso della Valle di Pomonte, dove scorre uno degli ultimi fossi elbani semi-perenni, come una soluzione facile, ma invece è complicatissima.

Infatti, sono passati poco più di 31 anni dal 16 ottobre del 1990, quando lungo i crinali de Le Mure si staccò una frana che creò davvero nella Valle di Pomonte una diga di detriti lungo il corso principale del Fosso. Poi la diga crollò e una massa di acqua, fango e blocchi di granito precipitò a valle, spianando orti, vigne ,ponti e ponticelli, allagando case e magazzini, in particolare quelli della piana alluvionale, che si estende, quasi totalmente, guarda caso, nella parte di Pomonte che rientra nei confini del Comune di Campo nell’Elba. Fare una diga in una Valle ad altissimo rischio idrogeologico, interessata una trentina di anni fa – un battito di ciglia in termini geologici – da una frana e da un conseguente alluvione di acqua, fango e detriti, non solo sarebbe costosissimo ma anche pericolosissimo.

La valle di Pomonte è incisa nel granito e si tratta di un granito cipollato, che acqua e gelo hanno suddiviso in blocchi e lastre fortemente instabili lungo i versanti, definendo un territorio ad elevato rischio idrogeologico ed idraulico. I potenti accumuli di frana che si estendono ai piedi dei versanti e la stessa piana alluvionale terrazzata presente alla foce del Fosso di Pomonte sono fra i segni più evidenti di un paesaggio geomorfologico fortemente attivo ed in evoluzione dinamica, attivissima e persistente, che si estende a tutto il versante occidentale dell’Elba, un’instabilità come dimostrano le continue frane che a volte costringono alla chiusura della strada provinciale.

La diga di Pomonte, così come quelle di Patresi o addirittura di Sant’Andrea o di Valle Buia, sono antiche ipotesi, già a loro tempo tramontate a causa dell’insicurezza, dell’impatto ambientale e dei costi, e riproporle oggi, con i vincoli idrogeologici e sismici in atto, appare proprio fuori dal mondo e rischierebbe di trasformare quelle dighe in tanti futuri Vajont, come ha drammaticamente dimostrato la frana di Pomonte di più di 30 anni fa.

E’ anche abbastanza strano che in un’isola che ha avuto come presidenti del Parco Nazionale due geologi di grande fama internazionale e nazionale come Beppe Tanelli e Mario Tozzi e che attualmente vede un geologo nel consiglio direttivo e un geologo alla direzione del Parco, non si sia pensato di chiedere loro un parere prima di esprimere ipotesi avventate. In questo caso gli esperti ce li abbiamo a Km Zero.

E, a proposito del Parco, ricordiamo che la legge 394/91 e il DPR istitutivo del 1996 e successivamente il Piano del Parco e gli strumenti urbanistici comunali che ne prendono atto, proibiscono di realizzare nuovi invasi nel territorio protetto e che la Valle di Pomonte fa parte di una Zona di conservazione speciale e Zona di protezione speciale e che tutte le altre vallate “proposte” e/o proponibili sono all’interno della stessa area e caratterizzate da una biodiversità unica e preziosa che l’Unione europea non potrebbe mai lasciar cancellare da dighe e invasi. A cominciare dal Fosso di Pomonte che, a causa del riscaldamento globale e delle barriere costruite lungo i corsi d’acqua e del loro emungimento, è rimasto uno degli ultimi fossi insulari ad essere ancora risalito dalle anguille europee (Anguilla anguilla) una specie considerata a rischio di estinzione critico dall’IUCN – la stessa organizzazione internazionale che recentemente ha premiato il Parco Nazionale – e fortemente tutelata dall’Unione europea dopo che ha perso il 90% della sua popolazione selvatica negli ultimi decenni.

Un’altra proposta ricorrente è quella di utilizzare tutte le sorgenti dell’Elba, cosa che, come hanno spiegato altri illustri scienziati, avrebbe un impatto fortissimo sulle specie autoctone ed endemiche che vivono all’Elba, come ad esempio la farfalla di San Piero Zerinthya Cassandra, sugli anfibi e, a cascata sul resto della vita che condivide con l’uomo quest’isola e la rende così bella.

In tutta questa discussione sulle risorse idriche sfugge poi una cosa: quelle risorse sono già abbondantemente sfruttate spesso in modo abusivo e improprio. Basta seguire un tubo nero per arrivare a un allaccio a una sorgente captata a volte da molti tubi i polietilene che scendono a fasci in mezzo a fossi, sentieri, boschi e macchia mediterranea, segnando e sfregiando il paesaggio dell’Elba. La verità è che le sorgenti montane sono già oggi quasi tutte sfruttate – legalmente e spesso illegalmente – e che la prima cosa che dovrebbero fare i sindaci per tutelare il bene comune acqua, è eliminare quella rete di tubi neri che si estende per centinaia di km ma che, stranamente, nessuno cita tra le misure da prendere per il risparmio idrico e per l’uso sostenibile di una risorsa sempre più rara.