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Un grande elbano ci ha lasciato

Tra commozione e ricordi, in morte di Giovanni Muti, uomo di cultura e sincero benefattore dei bisognosi

Un grande elbano ci ha lasciato

Sono i particolari che fanno la differenza
Certe volte non basta una vita per conoscere il vero carattere di una persona, certe altre volte sono sufficienti alcune sfumature per comprenderne il profondo significato.
Non conoscevo Giovanni Muti prima di qualche anno fa, quando per questioni giornalistiche abbiamo sovente parlato di vari argomenti che subentravano nel corso delle lunghe conversazioni. Mi raccontava e mi raccontava della sua vita, delle sue avventurose iniziative in terra straniera dove si era lungamente trattenuto per approfondire la propria inesauribile curiosità di conoscere sempre in modo più profondo l’animo umano di gente diversa. Ciò che ha toccato la mia sensibilità e la mia ammirazione per un uomo come lui è stato il modo naturale di occuparsi oltre alla sua impegnativa professione di giornalista e di direttore di giornali, delle persone che si trovavano in difficoltà e in particolare le più umili, verso le quali si prodigava a soccorrerle soprattutto all’Isola d’Elba, anche con notevole sacrificio personale ma con disinteressato e sincero slancio di generosità.
Chi lo conosceva è sicuramente a corrente di molti episodi a cui mi riferisco.
Giovanni era anche un uomo di grande cultura che amava approfondire quelle circostanze che si ripetevano apparentemente senza ragione dalle quali alla fine riusciva a capirne il vero senso. Mi spiegava ad esempio, che le chiese dell’Elba fino al recente passato storico, volgevano gli altari alle spalle del mare. Era un piacere ascoltare le motivazioni che approfondiva fino alla luce del significato.

Un episodio chiave
Parlavamo di tutto, dell’Elba di oggi, dell’Elba che fu, ma anche dell’Elba che era qualche decennio fa, menzionando persone e cose. Parlavamo di coloro che erano stati i protagonisti della gioventù di Portoferraio ma che adesso nessuno più conosce perché all’Isola più di altrove, il tempo sta cancellando anche i ricordi più belli che hanno scandito un’epoca.
Tra questi anch’io ricordavo a lui quando decenni fa alcuni di noi, i ragazzi di Portoferraio, lasciavano l’azzurro mare dell’Isola d’Elba per immergersi nell’azzurro cielo dell’Aeronautica Militare. Gli menzionavo tra questi: oltre a me, Renato Castelvecchi, Carlo Lupi, Alberto Orzati, Gianfranco Bertes, Gianfranco Giardini. Gli raccontavo che quando mi mettevo d’accordo con Giardini, ci presentavamo sul porto di Portoferraio con quanto più rumore gli aerei potessero fare e con quanto più scompiglio quegli improvvisi boati potessero portare tra chi si trovava sul posto. Gli riferivo che soprattutto Gianfranco Giardini che faceva parte della pattuglia acrobatica e che aveva un jet di dotazione personale, da sopra Monte Orello puntava il porto, venendo giù silenzioso quasi in planata fino a sfiorare la grande boa di attracco che a quei tempi si trovava davanti al molo. Poi improvvisamente, increspando l’acqua, riattaccava con la massima potenza del jet come un’esplosione, sopra l’Orologio di Porta a Mare, sparendo come un lampo dietro Forte Stella. Si raccontava a Portoferraio che il compianto Gigi Villani che abitava sopra il porto, una di quelle volte erano circa le 9,30 del mattino, mentre si faceva la barba sussultò con la lametta in mano tagliandosi la guancia. Ma questo fatto, ovviamente si trattava di un semplice taglietto, quando si ricordava tra gli amici, morivamo dalle risate. Giovanni invece mi ricordo che mentre gli parlavo, rimaneva muto come se qualcosa lo turbasse. Era un particolare che mi colpì e gli chiesi perché non trovava goliardica quella circostanza, che a quei tempi era ancora possibile senza l’intervento punitivo delle Autorità e che oltretutto lo stesso Gigi Villani quando tornavamo all’Elba ci riraccontava con dovizia di particolari tra le risa e divertimento di noi tutti.

Il terrore del volo
Fu allora che mi spiegò lungamente le sue disavventure in viaggio per la ferrea decisione di evitare gli aerei. Mi disse che sentirsi staccato da terra lo terrorizzava. Mi raccontò che aveva il biglietto aereo pagato da Londra per ritornare in Italia ma lui preferì avventurarsi con il treno tra le proteste dei compagni di viaggio e le mille peripezie contratte nel ritorno. Poi altre disavventure di viaggio che avrebbe evitato se avesse usato l’aereo. Ma tutto ciò che lo staccava da terra era per lui inaccettabile in quanto intravedeva un inspiegabile terrore di carattere emotivo che con tutte le forze doveva evitare. Mi era chiaro fin d’allora che di tutto potevo parlare evitando però di quell’argomento che lo turbava in modo così evidente e che non sarebbe stato neppure possibile approfondire.
Parlavamo di altro, parlavamo di pittura e della sua pittura di cui ricordo dei suggestivi quadri tenui colori tra cui quello di una ragazza dall’aria malinconica ed altri ancora. Essendo io un ritrattista, gli facevo presente scherzando, che il concetto della pittura contemporanea è quello “prima fai e poi dimmi cosa hai pitturato”. Gli avevo anche promesso un ritratto che gli avrei fatto quest’estate, per fargli cambiare idea sull’interpretazione della pittura.
Giovanni mi raccontò del suo punto di svolta da questo concetto che riteneva di facile realizzazione, quando voleva imitare lo stile di Italo Bolano, con un grande sua delusione si rese conto di aver imbrattato le tele. L’ episodio è noto a molte persone. Infatti anche ultimamente ho letto un articolo che commentava questa stessa circostanza.

La beffa del destino
Certamente Giovanni non si era risparmiato di disagi e di fatica nel corso della sua avventurosa vita, sempre alla ricerca di qualcosa per saperne di più. Ma la crisi che l’ha stremato è subentrata all’ improvviso, nell’arco di poco più di un giorno.
Giovanni nelle peripezie vincenti attraverso l’Europa aveva sempre preferito mettere alla prova la sua instancabile tempra fisica piuttosto che avvalersi del comodo comfort aereo. Portava con sé l’intimo presentimento che il suo “tallone di Achille” fosse proprio, alzare i piedi da terra.
Così dopo avere evitato ogni occasione per non incorrere in ciò che più temeva nella vita, ecco che questa volta è il destino che gli va incontro quando altra scelta non resta che salire sull’elicottero che l’avrebbe portato all’ospedale di Grosseto per quelle cure che l’ospedale di Portoferraio purtroppo non dispone.
Non sappiamo quanta consapevolezza dei suoi timori Giovanni abbia avuto in questa circostanza che ha sempre evitato: il suo primo e volo nella vita.
Questa volta però, è stato lo stesso destino a presentarsi direttamente a lui con un’offerta che non poteva essere rifiutata, riuscendo così a sollevarlo dalla sua Isola per la prima tappa del suo primo e ultimo volo che si sarebbe concluso in quel temuto e lontano paese da cui nessuno viaggiatore ritorna.
Addio caro Giovanni, mancherai molto alla tua Isola e a tutti noi.

Alberto Zei