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“CAVOLI”, il libro di Silvestre Ferruzzi e Fausto Carpinacci

Scritto da Silvestre Ferruzzi

"CAVOLI", il libro di Silvestre Ferruzzi e Fausto Carpinacci

Sarà a breve disponibile in tutte le librerie elbane un nuovo libro sul territorio occidentale dell’isola: “Cavoli”, scritto da Silvestre Ferruzzi e Fausto Carpinacci. Il volume, di 76 pagine, illustra la storia e l’ambiente di Cavoli, facente parte del territorio comunale di Campo nell’Elba e luogo di elezione del turismo balneare elbano.
Gli autori ripercorrono le vicende umane e ambientali di questo microcosmo isolano, dalle cave di granito utilizzate prima in età romana e poi pisana alle colonne abbandonate tra i cespugli odorosi della macchia. E poi i riferimenti storici al vecchio Arsenale impiantato sulla spiaggia di Cavoli nel 1835, al Quartiere Militare del primo Ottocento sulla vicina collina, alle antiche case dei Batignani e dei Lazzeri, al magazzino dei Ricciotti affacciato sulla spiaggia, al casottino spiaggia da cui partiva il cavo telegrafico sottomarino che univa Pianosa all’Elba, alla poetica abitazione abitata, dal 1906 al 1914, dalla famiglia tedesca Zimmer. Conrad Zimmer, laureato in chimica, era il proprietario delle cave di granito affacciate sul litorale di Cavoli; visse là con la moglie Elsa Meyer e i due figli Mathilde e Conrad. La famiglia fu sconvolta, nel novembre 1908, da due tragici lutti; morirono di meningite fulminante, infatti, gli altri due figli, Andreas Georg e Maria Luisa. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la famiglia Zimmer dovette lasciare Cavoli e le cave di granito, che vennero acquisite dalla famiglia Mellini, poi dalla società S.A.G.E. (Seccheto Anonima Graniti Elba) e infine dalla famiglia Federici. Il libro presenta inoltre molte fotografie attuali (opera di Adriano Locci, come pure la suggestiva immagine di copertina) e storiche, che gettano luce su uno splendido passato della rinomata località balneare elbana; come scrivono gli autori Ferruzzi e Carpinacci, “Cavoli può tornare come era un tempo; ma questo lo si può ottenere solo chiudendo gli occhi e facendo rivivere la bellezza di un piccolo mondo fragile, di una tenda bianca mossa dalla brezza dell’estate, delle vigne di procanico che lambivano la spiaggia, dei fichidindia spazzolati con rametti della viscosa pétricia e dati in pasto ai maiali, di quella bimba con un’ochetta che la seguiva passo passo sulla battigia come fosse stato l’unico suo oggetto d’amore, di quell’eterna risacca, come respiro affaticato del viandante stanco che ritorna”.