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Hanno trasformato una eccellenza sociale elbana, come l’ospedale di comunità, in una stanza di promiscua solitudine

Di Francesco Semeraro

Hanno trasformato una eccellenza sociale elbana, come l'ospedale di comunità, in una stanza di promiscua solitudine

Fino a qualche mese fa il nostro Ospedale di Comunità era un fiore all’occhiello della sanità Elbana ed era l’orgoglio come assistenza e umanità dell’intera ASL Nord Ovest. Questa struttura ERA, ora non più, una grande conquista a livello etico e di civiltà. Occupava una parte consistente del terzo piano dell’ospedale e poteva contare infermieri e Oss esperti e con una certa propensione ad assistere gli anziani. L’accesso veniva richiesto dal medico di famiglia e potevano essere ricoverati pazienti senza limiti di età con problematiche sanitarie non risolvibili a domicilio. Quasi unico nel suo genere, il nostro Ospedale di Comunità aveva al suo interno l’Hospice per persone con malattie progressive senza probabilità di guarigione per cui sono necessarie terapie palliative del dolore. Con l’hospice si realizzava non solo un servizio di alta qualità medica, ma anche un supporto di valore umano per le persone e le loro famiglie nel doloroso periodo del fine vita.

Con l’emergenza COVID questa Unità Territoriale di grande aiuto sociale è stata inserita nella mega e unica unità multidisciplinare che oltre all’Ospedale di Comunità comprende medicina, ortopedia, chirurgia, psichiatria e area carceraria in una mescolanza di pazienti con varie patologie.

Quello che fu un vanto della nostra sanità si è ridotto ad avere uomini e donne in fase terminale nella stessa stanza senza più infermieri e Oss dedicati. CHE TRISTEZZA.

LA COSA GRAVE è che a questi malati terminali (no COVID) di quella misera stanza, negano anche l’ultimo abbraccio dei figli, nipoti e parenti perché è autorizzato ad entrare solo un congiunto.

Siamo convinti che questa poca umanità sia giusta? Anche sedati i malati terminali cercano con lo sguardo stanco e appannato l’ultimo sorriso dei propri affetti che non trovano.

Francesco Semeraro