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Il decreto Cura Italia e i territori a vocazione turistica

Di Massimo Scelza

Il decreto Cura Italia e i territori a vocazione turistica

La risoluzione dell’emergenza sanitaria è ancora la priorità per il Paese. Il Governo italiano però, oltre a destinare nuove risorse al sistema sanitario e alla tutela delle famiglie, sta tentando di offrire risposte al settore produttivo, già in affanno e di mettere le basi per la ricostruzione che sarà necessaria dopo l’emergenza Covid 19.

In questo senso va il decreto”Cura Italia”. Non tutto è ancora chiaro e sono da migliorare e potenziare le iniziative di sostegno ai lavoratori e alle imprese che dovranno, il prima possibile, tornare a essere il motore del Paese.

Dalle più piccole, che rischierebbero in breve tempo di sentire più duramente la morsa della crisi, fino alle più grandi che, ci auguriamo, avranno più margini di manovra anche in un momento così complicato.

Una nota specifica è necessaria per ciò che riguarda il sistema turistico, affrontando con molta attenzione due fattori e considerando l’Articolo 29 (“Indennità lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali”) e le altre misure di sostegno economico.

Ci sono territori (non molti e facilmente identificabili nel Paese) dove è priva di qualsiasi senso la suddivisione per tipologia produttiva e dove non possono essere considerati i codici Ateco di riferimento (artigiani, commercianti, balneari, industria, ecc..). In questi luoghi tutte le imprese e tutti i lavoratori sono legati in maniera indissolubile al turismo, compresi molti dei lavoratori facenti parte dell’indotto a cui il decreto non fa riferimento. È quindi opportuno che si tenga conto della peculiarità di tali “aree a totale vocazione turistica”, dove esiste un rapporto imprescindibile tra l’andamento della stagione e l’economia dell’intero territorio, con l’estensione degli stessi diritti per tutti, senza distinzione di settore produttivo di impiego. L’altra criticità, che è identificabile a una prima lettura del decreto, è riferita alle migliaia di lavoratori che sono in attesa di essere assunti per la stagione estiva, sia nelle aziende turistiche che commerciali, artigianali agricole e nei servizi. Quale sarà il destino di chi sarebbe stato assunto ad aprile e invece, se va bene, entrerà a lavoro solo nel mese di giugno? Occorrono misure specifiche e straordinarie per questa tipologia di lavoratori. La più immediata, forse, sarebbe la prosecuzione del sussidio Naspi per tutti con un contributo maggiorato che possa compensare, almeno in parte, la perdita degli stipendi. In alternativa, la possibilità per le aziende di assumere comunque il personale necessario ad affrontare la stagione estiva, lasciando però aperta a tutte le imprese l’opportunità di attingere alla cassa integrazione, nel caso in cui, anche dopo la fine dell’emergenza, il settore turistico faticasse a rialzarsi.

Serve un grande sforzo economico, certamente, ma è l’unica via per salvare aziende e lavoratori di interi territori del nostro Paese.