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“Si mangia troppo poco elbano nei ristoranti dell’isola”

Se ne è parlato in un convegno a margine della Festa dell’Uva di Capoliveri. Unanime il responso degli esperti: "Puntare sulla tipicità nei locali e negli alberghi"

"Si mangia troppo poco elbano nei ristoranti dell'isola"

Perché non si parla di turismo enogastronomico nei convegni – anche recenti – svolti sul territorio dell’Isola d’Elba, quando questo è già una realtà consolidata? E’ stato questo il primo rilievo fatto nel convegno dal titolo “Dove va la gastronomia dell’Elba”, che si è tenuto sabato 5 ottobre a Capoliveri nel programma dei festeggiamenti della Festa dell’Uva. Al tavolo i relatori, da Carlo Eugeni di Slow Food al gastronomo Alvaro Claudi, dal presidente del consorzio tutela Vini Elba DOC Marcello Fioretti al delegato AIS Isola d’Elba Antonio Arrighi, fino all’archeologo Franco Cambi, hanno convenuto su questa grande potenzialità ancora solo parzialmente sfruttata da chi si occupa di comunicazione e marketing territoriale. Un grosso merito ce l’ha il comparto della ristorazione, “anche se – come ha sottolineato Alvaro Claudi – c’è ancora troppo poca cucina elbana nei ristoranti, soprattutto in quella degli alberghi”. “Purtroppo – ha fatto notare a sua volta Carlo Eugeni – è ancora molto difficile proporre prodotti di qualità, anche se l’Elba ha appena cominciato a giocarsi sul mercato l’importante carta della tipicità dei suoi prodotti, dall’olio al miele, dal pesce (con l’importante esempi della Palamita presidio Slow Food) alle verdure”. Una ulteriore attrattiva per il territorio è rappresentata dal vino dell’Elba, che negli ultimi anni ha fatto un significativo salto di qualità. “Finalmente oggi – ha fatto notare Marcello Fioretti – nei ristoranti evoluti due clienti su tre chiedono vini elbani, anche in presenza di carte dei vini importanti”. Eppure la vinificazione elbana non ha potuto ancora usufruire dell’”effetto aleatico”, del traino mediatico rappresentato dalla concessione della Denominazione di Origine Controllata e Garantita al passito d’eccellenza dell’isola d’Elba: questo soprattutto per la attuale congiuntura economica che rende sempre più difficile ed improbabile per i clienti dei ristoranti arrivare a consumare un passito alla fine del loro pasto. La discussione ha portato anche ad un salto nel passato, grazie alla presenza dell’archeologo Franco Cambi, fresco delle importanti scoperte fatte nel sito di San Giovanni. “Che vino si beveva 2mila anni fa, nel 1.o secolo avanti Cristo? Probabilmente un vino bianco un po’ liquoroso, proveniente da vitigni poco produttivi. Stiamo lavorando – ha fatto sapere il professor Cambi – sulla mappatura genetica dei residui ritrovati nei dolia di San Giovanni, per poter essere ancora più precisi”. La conclusione non poteva che essere proiettata nel futuro. “Che cosa si berrà nel 21.mo secolo? Il consumatore in questi primi anni del terzo millennio ha indirizzato i propri gusti sui vitigni autoctoni – ha concluso Marcello Fioretti – ed è su questo che sono destinati a lavorare i produttori, spingendo anche nella vinificazione nella direzione vincente della affermazione delle tipicità elbane”.