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Lettere: “AMBIENTE DA DIFENDERE, MA NON DAGLI ELBANI”

"I PIRATI IMPERVERSANO ANCORA OGGI, COME QUANDO A FARLI ACCOMODARE NELLE STANZE DEL POTERE ERANO I PARTITI, E LE VILLANELLE IN TACCHI A SPILLO E GIARRETTIERE ROSSE, CHE OGGI VOGLIONO SALVARCI DAL CEMENTO"

La lotta contro i cementificatori è iniziata quando l’Elba si stava dotando di strutture ricettive che l’avrebbero portata ai vertici dei luoghi turistici europei. Già allora, un numero limitato di persone intravedeva nello sviluppo turistico grandi opportunità, ma anche un pericolo per l’ambiente,
che rischiava di essere compromesso. Giornalisti come il professor Preziosi e Carlo Carletti, e fra i partiti Democrazia Proletaria, iniziarono una campagna di sensibilizzazione, ma anche di forte denuncia.
Si trattava di intervenire con i pochi mezzi allora a disposizione per impedire, o almeno limitare, le colate di cemento in zone delicate, come Capodarco, Bagnaia, Nisporto, Capo Stella, Colle d’Orano. Era una lotta anche con gli stessi amministratori che vedevano, giustamente, in questi insediamenti futuri posti di lavoro, in un’isola che era stata, per secoli, terra di emigrazione. Vi furono imprenditori seri, ma anche cementificatori, che facevano leva proprio su queste esigenze, a volte drammatiche, delle popolazioni locali per portare avanti i loro progetti mirando al massimo profitto.
In questa prima fase alcune operazioni furono bloccate, altre andarono in porto ma, in questi casi, i sindaci imposero grosse riduzioni alle volumetrie richieste (vedi Bagnaia).
L’insufficiente consapevolezza degli amministratori e la scarsa sensibilità ambientale generale non potevano certo arginare la scaltrezza degli imprenditori. Questi, prevedendo grossi ridimensionamenti da parte delle amministrazioni comunali, chiedevano sempre di più di quanto la zona potesse sopportare e riuscivano sempre a realizzare più di quanto loro stessi avevano osato sperare. E questo succedeva anche quando gli amministratori, nella convinzione di fare il loro dovere, dimezzavano le volumetrie richieste (vedi ancora Bagnaia).
Non vi è dubbio che questi pirati hanno rovinato alcune zone dell’Elba (vedere ancora Bagnaia). Lo hanno fatto, però, circondati dal rispetto generale. Le loro feluche, fornite di lasciapassare dai capi partito continentali, ormeggiavano nei porti sicuri delle segreterie locali.
E soprattutto in quelle di sinistra, dove le “villanelle” che adesso vogliono salvare l’Elba dal cemento svolgevano ruoli importanti: tacchi alti, minigonna e giarrettiere rigorosamente rosse (l’ideologia nobilita tutto) accompagnavano i visi pallidi, in loden verde, nelle stanze del potere. Era, per loro, il prezzo da pagare per un futuro, non eroico, nel parassitario avanzato.
Nonostante alcune ferite inferte al territorio, complessivamente, l’isola è riuscita a diventare un delle zone turistiche più importanti d’Europa senza compromettere l’ambiente.
Ma le segreterie politiche del continente, che per decenni avevano dato mano libera agli speculatori, hanno imposto il parco con la scusa di difendere l’ambiente proprio da quelle popolazioni locali che quell’ambiente avevano difeso. E lo avevano fatto nel momento delicato della costruzione dell’Elba turistica; lo avevano fatto con grande
difficoltà e anche con qualche ferita, ma erano riuscite a tenere intatto un patrimonio ambientale di grande prestigio.
La difesa dell’ambiente, in quest’isola, ha una lunga storia, così come l’ha il tentativo di rovinarlo. Tozzi non dovrebbe dimenticare che il patrimonio ambientale, che lui è chiamato a difendere, non lo deve difendere contro gli elbani, perché loro già lo difendevano quando lui era bambino, ma lo dovrà difendere contro i soliti pirati che ancora oggi, nonostante il parco, stanno imperversando sul territorio, sventrando colline e costruendo centinaia di seconde case per i benestanti del nord, a venti metri dal mare. Gli elbani non distruggono l’ambiente in cui vivono; a loro, che in questa terra sono nati, non è neanche riconosciuto il diritto di costruirsi una casa per viverci.

Elba 2000