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Buona Pasqua

Di Marcello Camici

Buona Pasqua

Buona Pasqua. Provo a spiegarmi la parola.
Io la dico, in un giorno dell’anno, di un anno fatto di errori, di soprusi, di paure, di incertezze, di gesti coi quali ho trattato gli altri come oggetti, piacevoli-spiacevoli, come affare sociale, come ostacoli o come vantaggi, la dico in un giorno dell’anno scelto a ricordare un altro giorno nel quale Dio ha proclamato innocente e santo davanti al mondo un uomo condannato e ucciso come malfattore. Un giorno nel quale un uomo ha vinto la morte, perché il padre lo ha amato più della morte. Per molti di noi quest’uomo è, come il padre, Dio.

Buona Pasqua, allora, significa soprattutto: io ti amo.
Amo te, che sei lì, e mi sbarri la strada, e te che mi fai soffrire, e te che mi lasci indifferente, e te che sei fastidioso.
Amo te che sarebbe, che è facilissimo amare. Che sei bellezza e piacere, e te che sarebbe facilissimo odiare, che sei cattiveria e dolore.

Buona Pasqua, allora, significa soprattutto: sono pronto a pagare. Chi paga, oggi, per il mestiere che fa, per le parole che predica, per le moralità che impartisce? La grande frattura è fra il dire e il fare, fra la pagliuzza e la trave.

Quell’uomo ucciso sul Golgota due millenni or sono aveva trascinato una folla dietro di sé con parole nuove che gli spianarono la via del sacrificio: quando il sacrificio fu maturo, anziché sottrarsi, lo accettò come fosse giusto. La più clamorosa ingiustizia della storia profana diventava giusta conclusione della storia sacra: senza morte non poteva esserci resurrezione. Dire buona Pasqua, quindi, dovrebbe essere una promessa: civilmente, uomini che si scambiassero davvero la buona Pasqua potrebbero smettere di imporre agli altri ciò che non vogliono per sé sopportare, la violenza come la povertà, la ricchezza vuota di pensiero come la sofferenza inutile. Un uomo che augurasse davvero agli altri buona Pasqua, agli occhi di molti passerebbe per folle.

Sembra che ci siano tante strade per rendere migliore la nostra vita. Dicono ci siano tante Pasque, come ci sono tanti Gesù profani. Un marxista famoso, un vecchio pensatore quasi cieco che ha saputo vedere molte cose, Ernst Bloch, scrisse invero che l’eroismo marxista è un venerdì santo senza Pasqua di resurrezione. Ciascuno ha diritto al vangelo che desidera. Anche il cristiano che sta smarrendo la sua Pasqua ha diritto di ricercarla con determinazione.

Forse abbiamo dimenticato la Pasqua, perché abbiamo da tempo cancellato il venerdì santo e ci siamo messi a giocare con i ladroni. Così oggi uomini onesti pagano il loro venerdì santo senza riuscire a vedere, a guardare la Pasqua, e ricchi banchettatori della Pasqua rifiutano il digiuno del venerdì santo, e ladroni offrono agli uni e agli altri dadi per giocarsi vita e coscienza.
Ma chi sapesse guardare e non soltanto vedere…

(Brano tratto da “La riscoperta di Dio” Gaspare Barbiellini Amidei. Rizzoli editore. Milano 1984)